Akira

Abbandoniamo la nave

Akira 1

Era un giorno di pioggia come tanti altri e veniva giù che dio la mandava.
Ero appena salito in macchina con Akira e mi piacerebbe tanto poter dire che era un giorno come gli altri. Ma non era così. La lupastra nel suo box bagnata fradicia e sufficientemente puzzolente quello che in dialetto veneto chiamiamo “spusa da cagnon”.
Avevo provato più volte a caricarla nel bagagliaio prima di allora per permettergli di guardare fuori durante le nostre gite in montagna ma non ne voleva sapere, si lamentava di continuo e credo che fosse per chiedermi di essere spostata davanti affianco a me, a parte la scena di io e lei con occhiali da sole, capelli gellati indietro e abbronzatura estiva in pieno stile Thelma e Luise.. Mi sono accontentato di metterla dietro di me così da avvicinarla un po’ .
Ho comprato subito un box della sua misura e ho tagliato il tettuccio così da permettergli una buona visuale in viaggio. Adesso ad ogni semaforo o stop sfrutta l’occasione, esce con la testa e mi saluta e devo dire che, a parte la bava che cola lentamente giù per il trasportino a me sta bene, ci salutiamo con un bacino veloce e si riparte.
Dicevo, era un giorno di pioggia, grosso modo i primi giorni di aprile e la temperatura era dalla mia parte (solo quella!), Akira nel trasportino a la Panda a metano (che ti da una mano) accesa. Vi starete chiedendo cosa c’entra tutto questo… ebbene..
Ero stato scaraventato fuori di casa. Akira aveva distrutto ogni cosa e mia madre santa donna, al tempo vivevo ancora con lei, prima con gentilezza poi con gentilezza e poi ancora con gentilezza mi mise nelle condizioni di abbandonare la nave. Dovevo uscire di casa.
Cosciente del danno e consapevole di dover trovare in fretta una sistemazione, continuavo a chiedermi perché si era arrivati a quel punto e perché non avesse risparmiato niente del giardino… le gambe del tavolo erano rosicchiate come cosce di pollo, i fiori del giardino sembravano un soffritto per ragù, e i sacchi neri della spazzatura che non erano più sacchi ma solo spazzatura.
Insomma avevamo combinato un disastro e non si poteva tornare indietro. Adesso dovevamo arrangiarci.
Quella sera rinunciai presto a trovare una soluzione per la mia sistemazione. Spensi la macchina e passai qualche ora con lei. In quel momento capii che eravamo diventati branco.